

Il premio Nobel conferito alla scrittrice Svetlana Aleksievic acquista in Italia un senso ancora maggiore, soprattutto in relazione alle consuetudini di raccolta delle fonti orali e delle esperienze umane che circondano le grandi vicende così come la storia in genere.
Nel paese di Danilo Dolci e dei “Banditi di Partinico”, il lettore non si troverà spiazzato nel leggere “Ragazzi di zinco”, tradotto in italiano nel 2003 dalle Edizioni e/o.
Trecento sedici pagine zeppe di voci che raccontano la tragedia sovietica della guerra in Afghanistan, protrattasi tra il 1979 e l’89. I ragazzi e le ragazze che partirono per quella che il regime comunista definì la “grande causa internazionalista e patriottica” furono almeno un milione, dei quali molti tornati chiusi dentro bare di zinco e sepolti nell’oscurità della notte.
Mezzo milione furono invece le sole vittime afgane.
Il libro della giornalista e scrittrice di origine bielorussa riporta le voci delle madri dei soldati uccisi, dei feriti di guerra, delle infermiere che hanno vissuto la vicenda come un’avventura patriottica e, non ultime, le voci di chi è tornato da un inferno che l’URSS ha poi minimizzato se non nascosto. “Ragazzi di zinco” è un libro corale, che racconta una verità cruda e straziante.
Un libro che appassiona nel far riflettere sulle infinite miserie causate dalle guerre.