

Dire cibo è un altro modo per indicare lavoro e rapporti sociali, impatto con l’ambiente, consuetudine e tradizione.
Il cibo può essere prevaricazione o riconoscimento dei diritti e comunque aggregazione in comunità.
Insomma il cibo è vita e il grande scrittore Jorge Amado introduce i lettori al Brasile delle fazenda attraverso l’odore intenso e le tonalità forti del cacao, pianta dalla quale prende nome il suo romanzo pubblicato per la prima volta nel 1933 dalla Ariel Editora, duemila copie esaurite in un mese.
Negli anni Trenta, Bahia è la meta dei brasiliani che inseguono un futuro migliore lavorando nelle piantagioni e il protagonista del romanzo è uno di loro.
Originario del Sergipe, nato benestante ma colpito da un rovescio finanziario, l’uomo si stabilisce a Ilheus per lavorare nelle piantagioni di cacao del coronel Misael.
Attraverso la vicenda di questo bracciante alfabetizzato ma costretto dalla necessità a una vita povera, i lettori e le lettrici si troveranno nel Brasile del lavoro disumano e dei soprusi dei fazendeiros, del sesso e degli amori travolgenti, dell’altruismo e della violenza efferata, della fede e della coscienza di classe.
Quello che emerge dalle pagine del libro (tradotto in italiano da Einaudi) è un mondo a tinte forti, dove il sapore e l’odore del cacao animano tutte le vicende, liete o tristi che siano.
Attorno al cacao si costruiscono gerarchie economiche, politiche e sociali, si vivono storie d’amore travolgenti o fidanzamenti interrotti, si risvegliano sentimenti di ribellione o si sviluppa uno stato d’animo di sudditanza.
Il cacao diventa insomma la sopravvivenza di un’intera comunità.